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Immagine del redattoreEnrico Gentili

I Muli della Miniera

Aggiornamento: 8 giu 2018

Quarta storia  dello spettacolo "ALTROVE" - Miniera di Novafeltria

Testardo come un mulo. Si usa. Come espressione, si usa. 

In generale si usa come insulto: stupido come un asino e testardo come un mulo. Testardo, che non vuol dire stupido. Testardo è chi resta fermo sulle proprie idee, fossero anche sbagliate, ma sono sue, e sono, appunto, idee. 

I muli – quindi - hanno idee, proprie idee e prima di avviarsi verso la discenderia della miniera, prima di avviarsi verso il buio della terra che tutto inghiotte, come i minatori pensano. 

Pensano alla propria vita, al lavoro da caricarsi per la giornata e, alla fine del turno, pensano, ancora, al futuro. 

Cinque è il numero massimo. 

Oltre i cinque carelli non si muovono. Non fanno un passo. Loro. I muli restano fermi. 

Più forte di una rivendicazione sindacale: una volta attaccato il sesto carello, non fanno un passo che sia uno, restano immobili. Testardi, testardi come un mulo. 


Il silenzio della mattina. Due muli: un mulo e una mula. Il sole alle spalle e davanti il buio della terra: l’intera giornata. Dal buio della notte al buio della miniera. 

Il carrello, clinck! 

- uno 

Clinck! 

- due 

Clinck! 

- tre 

Clinck! 

- quattro 

I minatori del turno, pronti, da questo lato della miniera. 

“Mario allora?” 

“… parte tra un po’, tra un po’, … parte tra un po’ …” 

Dall’altro lato, i muli, pronti per tirare i carrelli verso la discenderia. 

- andiamo. 

- non ho sentito il cinque. 

- al cinque si parte 

- … fino a cinque, ho fatto il corso, - disse il mulo, voltandosi verso la mula, con lo sguardo: … fino a cinque, puoi – 

- non arriva niente. 

Chiedeva, o forse non era una domanda, una frase, un pensiero con il compagno di lavoro, guardando le ultime luci dell’alba, che senso poteva avere attendere ancora? la giornata doveva, comunque, cominciare: 

- Andiamo? 

“Mario che ne abbiamo solo quattro, vai che il quinto lo facciamo domani!” 

“domani?” 

Arrivano lente le parole, dal fondo della terra. Arrivano lente devono superare la roccia. Devono superare l’oscurità, l’aria della miniera. Devono accarezzare ogni panetto di zolfo, ogni scalino rovescio. 

“… andar giù, mandiamoli giù, che per oggi quattro carrelli li scaviamo, che non ne scaviamo altri, non di più” 

Mario, lancia un urlo, un mugugno, sa bene che con chi è testardo occorre usare sempre la stessa moneta. 

“mettine un altro che se non sono cinque non partono” 

Clinck! 

- cinque, … andiamo 


Il giorno abbandona le ultime luci dell’alba e i muli avanzano, questo giorno, un giorno uguale al precedente, un giorno, uguale a domani. 

- comunque non è che io voglio fare questo tutta la vita. 

- ma non faremo questo tutta la vita. Io devo figliare, io! 

- hai già un compagno? 

- no. 

Ché forse studiano biologia, i muli? Tutti i giorni, fianco a fianco, dall’obbligo di trascinare, dalle lamentele del lavoro, la condivisione della fatica, crea l’intimità, come per tutti, anche i muli, e così l’amore, forse che i muli studiano biologia? forse l’amore si spiega solo con la procreazione? quando la necessità, quando il corpo chiama … 

- dai facciamolo qua 

- ma no qui in mezzo alla discenderia 

- ma no, qui non ci vede nessuno 

“… dove si son messi quei due muli, che li hanno mandati su che è ormai passata un’ora e mezza, che poi rimaniamo indietro.. ” 

“è una storia incredibile!” dice, pallido. 

“… che cosa è che hai visto? Che cosa …” 

“è una storia incredibile!” si ripete. Pallido. 

“… cosa? che cosa?”

“mi sa che non dormo più la notte. mi sa” 

“…che cos’è che hanno fatto? … che hanno deragliato?” 

“peggio…, peggio,…” lo guarda, occhi negli occhi, uno sguardo che è una domanda: come è possibile, come è stato possibile? “ti ricordi nel novembre del ’36 che cosa è successo?” 

Dal fondo della miniera un suono, plumbeo. 

“La brùseda!” 


Il 1936, nera la notte, nera la miniera e neri i fascisti. L’autarchia regnava, e stringeva la fame, gli stomachi gridavano. I muli erano carne da macello, come gli uomini. Dovevi obbedire. Quanti giorni abbiamo passato nascosti tra i panetti di zolfo? Quanti giorni ancora, nascosti dai fascisti che volevano, che pretendevano, ancora e ancora. E poi una fiamma, dal basso il tempo di correre aggrappati alle bestie, aggrappati ai muli che l’avevano già sentito l’odore. Trascinati tra le pareti, scorticati dallo zolfo, fino alla discenderia. Maschi Femmine. Muli e mule. Non c’era più ritorno. I muli non scendevano più nella miniera. La paura li paralizzava all’ingresso. Abbiamo dovuto attendere che arrivassero dal fumaiolo, abbiamo atteso i muli per settimane, e per settimane trascinato i carrelli a mano. 1936 la brùseda! 

- ascolta, è passato un mese, ma non è successo niente. proviamo di nuovo? 

- va bene … 

- va bene, … va bene, … ma se, non ci hai voglia, non ti fa piacere? 

- sì mi fa piacere, però sono un po’ troppo stressato, … tu? … puoi dire delle parolacce, mentre… 

Il fuoco e la morte. La morte nel buio della miniera. Di questo hanno paura i nostri muli. Restano immobili, come se la memoria della miniera dicesse loro di stare attenti. I muli restano immobili quando capiscono che c’è pericolo. E quale pericolo maggiore dell’amore tra due muli. L’amore che attraversa, che fa crollare le barriere della biologia. Quanti casi ? nel mondo, dico, quanti altri casi di gravidanze tra bestie sterili? Incroci di incroci, seguendo la linea genetica, la possibilità, nella linea genealogica, la possibilità di accoppiarsi e di trovare la probabilità, il numero fortunato della lotteria della natura: trovarsi, unico mulo al mondo, rarità genetica, trovarsi unica mula al mondo, fianco a fianco, nella stessa vista, davanti alla stessa miniera, travolti da travolti da un insolito destino nel grigio sole d'aprile. 


“… ha fatto in tempo ad arrivare Fernando … che ci ha una gamba zoppa, che è già arrivato quassù, e ancora loro” - i muli - “non si vedono!” 

“bisogna che te lo dica: la mula è incinta!” 

Silenzio, dal fondo della miniera l’urlo muto del vento. E poi: lo squarcio! 

“… la mula è incinta … la mula …” 

Quando la parola tace, nella miniera? 

Nel buio solo la voce dei compagni minatori guida le giornate, quando ascolti, solo, il cammino dei tuoi compagni a fianco del rumore degli zoccoli dei muli e il cigolio dei carrelli. 

Muto. 

Le parole escono quando i minatori in osteria, la sera, a fine turno, quando si è tra amici, e poi .. ma ti ricordi quella volta, le giornate che diventano ricordi, … e poi c’era la storia brùseda, … e poi c’era la storia – silenzio – la storia della mula incinta. 

E la biologia. La biologia che – a volte – sbaglia. 

“hai presente che in osteria, quella volta, tipo per scherzo, abbiamo scritto che se la mula è in cinta non può lavorare? Non poteva succedere, e invece.” 

- cinque carrelli! Cinque carrelli! 

- non mi puoi fumare troppo vicino 

- ah sì scusa 

- chissà cosa saranno, muli o mule? 

- adesso io però non posso lavorare, 

La storia si conclude con un minatore che, come tutti i giorni, da questo lato della miniera aggancia i carrelli. 

Clinck! 

Tre 

Clinck! 

Quattro 

Clinck! 

Cinque 

Clinck! 

Sei 

Dall’altro lato, un uomo, un minatore tira i carelli verso la discenderia. 

“… che vai fausto! … dai che vai!”

(buio) 

Scritta da Kristian Fabbri

Storia di fantasia tratta da un'improvvisazione dello spettacolo "Altrove" di Miniera di Novafeltria.

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